La parola “Smart” è oggi molto di moda, ma nel mondo delle imprese cosa può significare? Pochi anni fa Edward D.Hess, della Columbia University (New York) scrisse un bel volume intitolato “Smart growth : building an enduring business by managing the risks of growth” (2010), in cui si sosteneva che una crescita intelligente (“smart”) è quella che non punta tanto a diventare più grandi, quanto a diventare migliori.
Una crescita puramente quantitativa, e continua, esiste solo nei modelli matematici di alcuni economisti, non nella realtà. I diversi esempi portati da Hess mostrano che anche le aziende più importanti e famose hanno passato brutti momenti di crisi, dalla Coca Cola che alla fine degli anni ’90 era vista come un modello di inefficienza, a Starbucks che dovette chiudere in poco tempo ben seicento caffetterie che erano in perdita, a Harley- Davidson che ebbe seri problemi di incasso dei crediti dai distributori, a UPS che si è più volte riorganizzata dando vita a nuove società quali quella dei negozi Mail Boxes, molto diffusi anche in Italia.
In natura, come mostrano gli studi biologici,un organismo non può crescere troppo, perché rischia di morire, per disfunzioni interne e/o rischi di aggressioni esterne, anche perché diventando troppo pesanti si diventa lenti e più facilmente attaccabili. La sopravvivenza di un organismo presuppone invece un adattamento “intelligente” e continuo all’ambiente in cui si è inseriti.
Nelle aziende, diventare migliore è ben più importante che diventare più grandi (“being better, not just bigger”). Non è così scontato, dice Hess, visto che le grandi imprese sono ossessionate dallo sviluppo del fatturato a tutti i costi (quadrimestre per quadrimestre), anche al costo di comprare, pur di ingrandirsi, altre aziende inefficienti.
Le stesse piccole imprese spesso sono prese dalla frenesia di diventare grandi, rincorrendo la crescita quantitativa (la cosiddetta “scalabilità”).
L’attenzione agli aspetti quantitativi allontana invece dalla ricerca della qualità, il solo requisito che può rendere competitiva un’azienda.
Qualità significa imprenditorialità, attenzione al cliente, continui miglioramenti, valorizzazione e partecipazione delle risorse umane, capacità di gestire il rischio.
Di qui altri esempi che Hess porta, dalla azienda del lusso Tiffany, alla UPS, alla catena di impianti satellitari Defender.
Ciò che i fautori della crescita a tutti i costi non dicono mai è che nella maggioranza dei casi le aziende che fanno quest scelta falliscono, perché non sanno affrontare il rischio, faticano a capire i pericoli e non sanno trovare in modo dinamico le migliori soluzioni ai problemi.
La vita di una impresa non è lineare, ma come tutte le vicende umane va avanti con movimenti verso l’alto e verso il basso, cicli, zig zag, miglioramenti passo dopo passo.
Imparare, adattarsi all’ambiente circostante, innovare non richiede una crescita dimensionale, ma intelligenza nel riconoscere nuove opportunità e nel cambiare continuamente.
E’ molto sbagliato dire, conclude Hess, che l’alternativa è tra crescere o morire (“Grow or Die”), perché se si fanno le cose nel modo sbagliato, proprio la crescita può portare alla morte dell’azienda (“Grow and die”).